Due
tavole, situate in due luoghi diversi, nelle cittadine adiacenti di Anzio
(Porto Innocenziano) e Nettuno (Ex Divina Provvidenza), alle quali siedono contemporaneamente
altrettante coppie di amanti.
FINCHÉ MORTE NON CI SEPARI esplora il tema dell’amore come antropofagia dell’Altro, il desiderio mai appagato di possedere l’altro, di essere l’altro e, in ultima analisi, l’impossibilità di possedere la Vita nell’attimo presente, e dunque l’esilio dalla vita stessa, e la condanna al perpetuo vagabondare tra il desiderio del futuro e l’epifania del passato.

Che se
in un punto gli fosse finita e in un punto potesse possedere l’infinito
scendere dell’infinito futuro – in quel punto esso non sarebbe più quello che è
un peso.
La sua
vita è questa mancanza della sua vita. Quando esso non mancasse più di niente –
ma fosse finito, perfetto: possedesse sé stesso, esso avrebbe finito d’esistere.
- Il
peso è a sé stesso impedimento a possedere la sua vita e non dipende più da
altro che da sé stesso in ciò che non gli è dato di soddisfarsi.
[…]
Né se
l’uomo cerchi rifugio presso alla persona ch’egli ama – egli potrà saziar la
sua fame: non baci, non amplessi o quante altre dimostrazioni l’amore inventi
li potranno compenetrare l’uno dell’altro: ma saranno sempre due, e ognuno solo
è di fronte all’altro.
Gli
uomini lamentano questa loro solitudine, ma se essa è loro lamentevole – è perché,
essendo con se stessi, si sentono soli, si sentono con nessuno e mancano di
tutto".
(Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, 1910).