MEDEA



Medea, il Mito, la maga, la principessa della colonia greca più orientale, che strappa alla propria terra, la Colchide, il suo tesoro, per consegnarlo al greco Giasone, che smembra il fratello gettandone i brandelli in mare per distogliere gli inseguitori. Ma soprattutto, Medea che uccide i propri figli, evocando  così uno dei recessi più oscuri dell’animo umano, dinanzi al quale soltanto il rituale collettivo della tragedia ha potuto porsi.


Voglio spezzare in due tutta l’umanità
E sedermi nel vuoto tra i due tronconi.


La Medea di Heiner Müller  taglia via il futuro e qualunque sogno l’umanità abbia prodotto, compresa la tragedia stessa, in favore di una squallida commedia su una scena invasa da assorbenti per signora e profilattici usati. A questo punto, la donna incrocia le braccia, abbandona il suo posto, e grida in faccia al capo-operaio Giasone.




Fabbricatrice di uomini, materia umana che nella civiltà capitalistica contemporanea diventa consumatore, tutt’uno con la merce. Ed è proprio questa equazione che la Medea di Heiner Müller vuole negare, dopo avere ceduto alla tentazione di Giasone, dell’Occidente e delle sue promesse. E si riprende i suoi figli, per non consegnarli al mondo degli uomini.



Voi bacereste grati la mia mano che adesso 
Vi regala la morte se soltanto sapeste
Che cos’è la vita.



 








Testo: Heiner Müller 
Regia: Souphiène Amiar
Medea: Livia Caputo
La Nutrice: Giulia Ogrizek
Giasone: Stefano Rana
Il Neonato: Lucio Libero Rana